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sabato 23 febbraio 2013

Dobbiamo dire addio alla Sanità Pubblica?


Salute e Ambiente
“La sostenibilità futura dei sistemi sanitari, compreso il nostro, potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni”.

E’ una vera e propria minaccia quella lanciata da Mario Monti poche settimane or sono che, per lo meno, ha il pregio della chiarezza. Se nel futuro governo sarà presente Mario Monti, ancorché a sostegno di una maggioranza di centrosinistra, finiranno per essere spalancate, con buona pace di Vendola, le porte al privato, alla sanità integrativa e alle assicurazioni. Si chiuderà il capitolo, che ci ha fatto guadagnare la stima del mondo, della Sanità equa universalistica e solidale. Finiranno per esserci sanità di serie A B e C e si imporranno livelli d assistenza diversi a seconda della condizione sociale e lavorativa degli assistiti.



Del resto, si tratta solo di un aspetto del tutto. Una parte di quel lavoro sporco che Monti ha effettuato in nome e per conto delle centrali del capitalismo finanziario globalizzato: compressione dei salari, controriforma delle pensioni, cancellazione dell’art. 18, precarizzazione esasperata, smantellamento del welfare state, oggettiva limitazione degli ambiti dei diritti e della democrazia. Quello che stiamo correndo è veramente un pericolo mortale, non c’è dubbio infatti che la salute pubblica sia un bene primario, anzi forse il bene dal quale tutti gli altri discendono.

Monti sostiene che la Sanità così com’è costa troppo e non ce la possiamo permettere. Lo dice con brutalità, anche se Balduzzi ha poi cercato di “buttarla in caciara”, così come ha fatto del resto col suo stravagante decreto. E dunque, prima di tutto si tratta di smascherare le balle di Monti. Senza negare che esiste un problema di razionalizzazione delle spese e di uniformazione degli standard qualitativi e dei costi nelle varie regioni, cominciamo col dire ad alta voce che la nostra spesa sanitaria in rapporto al Pil è fra le più basse d’Europa: 7,1 %, quando quella europea sfiora il 9%. Iniziamo quindi a stabilire, un principio di verità: noi non spendiamo di più ma di meno degli altri! Dopo di che non è dubbio che clientelismo, infiltrazioni mafiose, corruzione e casinismo amministrativo, associati all’incremento del fenomeno della cronicità e della non autosufficienza non contribuiscano a far decrescere i costi.

Ma allora noi chiediamo: perché non si parla mai della possibilità di intervenire su questi costi, evitando l’accetta dei tagli lineari? Perché non si dice che l’Eurispes ha calcolato che la riduzione di un solo 10% degli incidenti sul lavoro comporterebbe un risparmio di 4,4 miliardi? E che un omologo risparmio potrebbe essere ottenuto tutelando l’ambiente e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini (Ilva docet), attraverso la diminuzione delle spese derivanti dalle cure necessarie alle malattie da inquinanti atmosferici (spese che ci vedono classificati fra i primi in Europa).

Perché non si riconosce che questo risultato potrebbe essere ottenuto semplicemente incrementando il numero di ispettori a disposizione dei Dipartimenti di prevenzione.
 E a proposito di sprechi, che dire degli innumerevoli primariati inutili che ci sono in Italia? Nel Lazio sono 1600! Degli accreditamenti e delle convenzioni fasulle che contribuirono a far dilapidare, nella stessa regione, alla giunta Storace oltre 10 miliardi, inaugurando lo spaventoso disavanzo della regione più in rosso d’Italia; dei prezzi manicomialmente diversi dei presidi medici nelle varie regioni; del fatto che si spende un miliardo l’anno solo per la prescrizione degli inibitori dell’acidità gastrica; dei costi pazzeschi della medicina difensiva e cioè di quegli esami inutili prescritti dai medici esclusivamente per tutelarsi da eventuali azioni legali.

Ma ancora come si fa a non tener conto dei 15 miliardi spesi per i cacciabombardieri F 35 e dei 60 miliardi che ogni anno vanno persi in corruzione. E’ chiaro che l’elenco potrebbe allungarsi all’infinito e che quindi esiste la possibilità, attraverso una razionalizzazione nemmeno troppo sofisticata delle spese inutili dannose e persino anticostituzionali, di ottenere straordinari risparmi.

Ma che cosa ci ha portato a tutto questo? Ebbene, la mia convinzione è che siano due gli ordini di fattori che hanno prodotto lo stato di cose attuale.

Il primo fa riferimento al totale fallimento di quel processo di aziendalizzazione della sanità che con i decreti 501, 517 e 229 negli anni Novanta fecero a pezzi la splendida riforma 833 del 1978. L’insieme di questi decreti trasformò la salute in merce, impose le regole del marketing e dell’impresa, quelle della politica clientelare e della corruzione.

Le aziende sanitarie sono state trasformate in monarchie assolute dove i direttori generali venivano nominati direttamente dalla politica e ad essa rimanevano legati a catena. Qualsiasi controllo democratico dal basso veniva cancellato. Il foraggiamento dell’intrapresa privata e l’esternalizzazione dei servizi, piuttosto che l’eccezione, divenivano la norma. La sanità territoriale distrutta e l’attenzione rivolta (male) solo agli ospedali. In pochi anni oltre 35 miliardi di tagli e 45 mila posti letto in meno.

Per arrivare al fatidico rapporto di 3, 7 posti letto ogni 1000 abitanti, quando questo rapporto è di 5 nella media europea. Insomma un mix perverso di iperliberismo, clientelismo politico e corruzione da anni sta ammazzando la Sanità pubblica. Ma se ci limitassimo a questa analisi non faremmo ancora un buon servizio alla causa di una vera e propria rinascita del SSN.

C’è da capire, infatti, che oltre a un livello economico-organizzativo, esiste un altro livello se possibile ancora più importante che è quello culturale.

In Sanità esistono, infatti, due concezioni diverse e opposte: una tecnocratica, iperspecialistica, riduttivistica, organicistica e ipertecnologica, l’altra olistica, democratica, umanistica, di classe (una visione quest’ultima che considera la tecnologia un mezzo non un fine e la salute un bene comune e non una merce). Ebbene, a trionfare è stata la prima visione del mondo, un aspetto di quella vittoria egemonica del pensiero unico neoliberista, non contrastando efficacemente la quale non potremo mai recuperare terreno.

A questo proposito, c’è da dire che il problema irrisolto della valutazione della complessità individuale e della necessità di avere, da parte della medicina, un punto di vista unitario è uno dei mali del nostro tempo. La possibilità di avere un approccio che non sia solo un’attenzione all’organo (“non esistono malattie, esistono malati”) è subordinata alla falsificazione delle pseudoteorie tecnocratiche che la Sinistra purtroppo non è stata in grado di effettuare. La lotta all’iperspecializzazione, quindi, e per la rinascita, a partire dalla formazione universitaria, di medici che sappiano avere un approccio sburocratizzato, umanistico e attento alla complessità delle vicende biologiche, sociali, psicologiche che nel singolo malato agiscono come un unicum, non è quindi una questione astratta ma una necessità assoluta per infiltrare di sapienza critica la palude scientista e tecnocratica che culturalmente si è imposta in sanità, favorendo l’insieme degli interessi costituiti che ne hanno imposto la supremazia.

A fronte della complessità di questi problemi, la prossima scadenza elettorale ci fornisce uno strumento prezioso per contribuire a portare all’ordine del giorno la questione di una nuova riforma sanitaria che riprenda, sviluppi e modernizzi i principi della 833. L’alternativa sarà la controriforma minacciata esplicitamente da Monti. Come si vede, una questione di vita o di morte. Vediamo allora quali sono i punti programmatici proposti da Rivoluzione Civile sulla Sanità.

1) Attingere ai principi di una Sanità pubblica universalistica e solidale.

Dire basta alla devastazione dei tagli lineari. Ridurre i tickets (9 milioni e mezzo di persone hanno smesso di curarsi perché non arrivano a sostenerne il costo).

2) Invertire la logica dell’aziendalizzazione che ha portato alla rovina il SSN. Liberare le aziende sanitarie dalle logiche politicistiche. Combattere il dilagare della corruzione e delle infiltrazioni mafiose.

3) Istituire un albo nazionale a cui attingere per la nomina dei direttori generali. Sottoporre a controllo pubblico l’accreditamento delle strutture private.

Centralizzare e rendere vincolanti i tariffari.

4) Rivedere una visione della sanità centrata esclusivamente sull’ospedale. Sviluppare l’Assistenza domiciliare in alternativa ai ricoveri evitabili. Riportare il fondo per la non autosufficienza a 500 milioni e prevederne un progressivo incremento a 1.500 milioni.

5) Rilanciare la Sanità territoriale (prevenzione, cure primarie e riabilitazione) e l’integrazione socio-sanitaria. Arrestare il taglio dei posti letto, adeguandone il numero agli standard europei.

Abbattere le liste di attesa, introducendo il principio dell’appropriatezza prescrittiva e limitando la pratica dell’intramoenia.

6) Rifondare fin dalla formazione universitaria la figura del medico, affermando una cultura unitaria che avversi le divisioni più esasperate del sapere e del fare, e riconosca la centralità dell’uomo e della donna nella loro indivisibile complessità. 
Non resta che dare gambe a queste proposte per tenere lontane le mani di Monti dalla Sanità pubblica. Non è facile ma ce la possiamo fare.



Fonte: http://www.esseoesse.net/supermerkatoglobale/dobbiamo-dire-addio-alla-sanita-pubblica/


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