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martedì 5 marzo 2013

Possiamo essere coscienza critica?


Cultura e Società
Questo Blog ha un obbiettivo preciso, creare una coscienza critica, cercando in rete qualche cosa a riguardo, al di là dei soliti post, mi sono imbattuto i due contributi significativi, uno è un documentario intitolato Vivere altrimenti e l’altro è un articolo di Guido Mastrobuono che riflette per conto di un associazione su quali siano i fondamenti da utilizzare per la costruzione di una coscienza critica…Eccovi le sue considerazioni…
Noi riteniamo che l’informazione sia una chiave fondamentale per uscire dallo stato di sudditanza in cui viviamo e, già dai primi momenti che seguiranno la nascita della nostra associazione, organizzeremo corsi che insegnino come reperire le informazioni ed interpretarle.Alessandro Rossi ha un modo ineteressante di leggere attraverso le righe degli articoli di giornale utilizzando intelligenza, cultura, acume ed una forte personalità.Gli abbiamo chiesto di parlarcene e quello che segue è un primo articolo che ci è stato inviato.”Qualche giorno fa ci siamo sentiti con Guido ed è emersa la necessità di sviluppare un discorso di fondo che si sviluppi parallelamente al movimento lavorista e che permetta ai partecipanti del movimento lo sviluppo di una coscienza critica.



Lo sviluppo della coscienza critica è il fondamento di ogni società liberale, qualsivoglia sia la connotazione politica che la stessa intenda darsi.Da essa e dal rispetto per il prossimo derivano tutta una serie di principi che noi consideriamo fondamentali per l’esistenza di una società civile: le libertà di espressione e pensiero, lo stato di diritto, il suffragio universale attivo e passivo e via dicendo.Ma la coscienza critica, se già è difficile da sviluppare, ha la tendenza a scomparire se non allenata.La coscienza critica è quella cosa che ci permette di valutare un evento o un’informazione per ciò che è in realtà.

Essa è tanto più sviluppata quanto più riesce ad avvicinarsi alla realtà dei fatti ma, non essendo possibile conoscere la realtà dei fatti, in quanto ciascuno di noi vede i fatti in maniera mediata dal suo io, alla fine la coscienza critica è quella cosa che ci permette di scoprire le falle nel modo in cui un evento o un’informazione ci sono presentate: cioè le mediazioni che gli altri hanno posto sugli eventi e sulle informazioni prima di presentarceli.Conoscendo tali mediazioni dovremmo essere in grado di valutare, a ragion veduta, quali siano i fatti esterni aggiunti e decidere, prendendoci anche l’eventuale responsabilità di una valutazione errata, se accettare tale presentazione o rifiutarla.

Secondo molti una coscienza critica è data dalla conoscenza approfondita dei fatti, conoscenza che si è sviluppata tanto dal punto di vista della “tecnica”, quanto da quello dell’”analisi” del fenomeno oggetto del nostro esame.
In realtà non è così, occorre un passaggio precedente: occorre conoscere nel miglior modo possibile gli strumenti tecnici e analitici che ci sono stati forniti e che noi utilizziamo per l’esame, perchè gli strumenti stessi possono nascondere (e nascondono quasi sempre) enormi insidie, non essendo mai neutri.
Noi, come nella tecnologia, per poter compiere una valutazione, dobbiamo conoscere lo scarto del nostro strumento per poter avere cognizione del limite di tolleranza da applicare alla misura così ottenuta.

Lo stesso avviene nella vita di tutti i giorni per le notizie, per lo studio, per il lavoro, per la vita di relazione, per la politica.L’idea è quella di creare una sorta di laboratorio che insegni a legger, in maniera critica, tutto ciò che ci capita giornalmente sotto mano: dagli articoli di giornale, alle norme di diritto.La lettura critica ci permette di scendere dallo scranno del qualunquismo, sul quale l’Italia intera è arroccata, ormai, da decenni, per tornare a muoverci per il mondo.
Forse saremo invisi a coloro che ci considereranno snob per il fatto di non accettare il loro punto di vista sulle cose.
Forse saremo considerati il contrario di ciò che siamo e odiati (o mal tollerati) da tutti, indistintamente, perchè le nostre idee non collimeranno con le loro.
Ma almeno, (e non è detto che sia un bene) sapremo sempre cosa aspettarci.

Un esempio per far capire.
Intorno al 1993 io, parlando con un mio amico, dissi due cose: che il reale pericolo per il mondo occidentale era l’Islam e che la sua salvezza sarebbe stata la Cina.Ovviamente erano affermazioni che mi facevano rientrare, di diritto, nel novero dei razzisti padani e, contemporaneamente, degli extraparlamentari di sinistra.Nel 1993 si era molto distanti dai fatti dell’11 settembre 2001, dall’immigrazione selvaggia, si era in pieno clima di distensione USA-URSS e Israele-OLP, il nuovo nemico per l’Occidente era la Cina, vedevamo come un miraggio la moneta unica.Nel 1993 se avevamo un PC era un cassone, nella migliore delle ipotesi un 286, e le connessioni internet erano favole da film americano.Premetto due cose: non sono comunista e non sono padano.

Perchè quelle affermazioni allora ?
Per una serie di motivi che vi accenno, e che potrete approfondire a vostro piacere.L’Islam è sempre stato visto come un unicum indivisibile, una religione e una società, oltretutto analizzata con parametri occidentali. Ma non è mai stato nulla di tutto ciò. L’Islam è un accozzaglia di religioni che fanno riferimento ad un testo rivelato, il Corano, che è, in realtà, stato scritto da chiunque ne avesse interesse nell’arco di qualche centinaio di anni e viene interpretato, secondo dottrina o secondo comodo, da ciascun imam liberamente. Culturalmente l’Islam non ha nulla a che vedere con la cultura Occidentale ed è agli antipodi del nostro modo di vedere la vita. L’essere umano non è un’entità sociale che compone lo Stato, ma un individuo al servizio del sovrano, che impersona lo Stato per trasmissione divina, un po’ come da noi era nel Medioevo.

Il fondamento dell’Islam è la guerra santa e morire per far vincere la parola di Allah è un martirio accettabile.Il problema è che l’Islam detiene la maggioranza delle ricchezze: petrolio, pietre preziose, materie prime.Sfruttarlo senza riuscire a trovare un accordo di convivenza, porta, irrimediabilmente allo scontro.Ma l’accordo non può essere quello di continuare a fare ciò che fa comodo a noi, alla lunga non funziona, prima o poi qualcuno non sarà più soddisfatto e il risultato sarà una guerra.Dall’altra parte la Cina è uno stato laico (a meno di non considerare il Comunismo di stampo maoista una religione), votato allo sviluppo della società mediante lo sfruttamento dell’individuo come componente di un unicum inscindibile.La sua strutturazione neocapitalistica comporta la creazione di una oligarchia di stampo socialista che si contrappone all’idealismo religioso islamico.

Le forze in campo sono, grosso modo, equivalenti, con la differenza che la Cina è un’unica struttura sociale e culturale, l’Islam un coacervo di differenti società e culture con un sostrato simile, ma non identico.Alla lunga la Cina la spunterà, ma non sono in grado ancora di dire a quale prezzo.Tutto questo non per mia veggenza, ma perchè, già fin dai primi anni ’90, il fatto di leggere le informazioni scevrandole dalla propaganda che le circonda, permetteva di comprendere un evoluzione obbligata.Trent’anni fa erano già insiti nella struttura sociale italiana i rigurgiti razzisti, la deriva capitalistica, la destrutturazione della società di tipo familiare, lo sviluppo del precariato, la presa di potere delle banche e delle assicurazioni con l’ingresso della finanza nordeuropea nel nostro sistema economico, il crollo della tensione politica, l’involuzione morale. Bastava guardarsi attorno senza giudicare, ma limitandosi ad esaminare i fatti.

Quello che io vorrei fare è iniziare un analisi strutturale della società italiana attraverso le notizie, i fatti, le idee e le leggi ma, soprattutto, attraverso l’unione interdisciplinare volta all’analisi di tutto ciò.In realtà è molto più complesso a dirsi che a farsi, quindi, piuttosto che spiegare come funziona, perdendo mesi nella teorizzazione di un fatto pratico, direi che dovremmo iniziare a fare.Dal canto mio inizierò con una storia, non so ancora se a puntate o no, dell’Italia post muro di Berlino, che nessuno ha scritto, ma che si percepisce, come un vago sentore nell’aria, se si studiano i fatti meno noti (perchè meno enfatizzati dai giornali) che sono avvenuti da allora ad oggi.Per il resto, questo mio contributo, stante la distanza che mi separa da molti di voi, non potrà essere altro se non scritto ma, tant’è, spero serva e sia comprensibile.”



Vivere Altrimenti (2012)Documentario di Pietro Barabino.Tre amici, stanchi dei ritmi disumani della città, decidono di partire alla ricerca di comunità che per diversi motivi hanno scelto di vivere fuori dalle logiche della società dei consumi. Il fascino della radicalità e del pensiero minoritario porta i tre protagonisti alla riscoperta del valore insospettabilmente sovversivo della condivisione, della spiritualità e dell’impegno politico fuori dalle istituzioni. In cammino sulla strada che porta dal “bene avere” al “ben vivere”.

con Pietro Pesce, Federico Piana, Paolo Nunziante
Don Andrea Gallo (Comunità di San Benedetto al Porto, Genova)
Don Alessandro Santoro (Comunità di base delle Piagge, Firenze)
Beniamino Vitale (Casa al Dono, Vallombrosa)
Antonella Pelillo (Casa al Dono, Vallombrosa)
Luca Daolio (Piccola Famiglia dell’Annunziata, Monte Sole – Marzabotto)
Paolo Barabino (Piccola Famiglia dell’Annunziata, Monte Sole – Marzabotto)
Don Luigi Verdi (Fraternità di Romena, Pratovecchio)
Pietro di Nomadelfia (Comunità di Nomadelfia, Grosseto)
Monica di Nomadelfia (Comunità di Nomadelfia, Grosseto)
Sefora di Nomadelfia (Comunità di Nomadelfia, Grosseto)
Mauro Cavicchioli (Il Pungiglione – Villaggio dell’Accoglienza, Mulazzo)
Franco Di Nucci (Il Pungiglione – Villaggio dell’Accoglienza, Mulazzo)

Musiche di David Chapel, Folk Acoustic (2011)

Genova, novembre 2012

contatti: pietro.barabino @ hotmail.it

Fonte : flickr.com

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